Lapis 13

Arte Nucleare e sopravvivenza.

di BRUNO CECCOBELLI | 19 Ottobre 2022

disegno di Micheli

Nel Manuale sulla sopravvivenza alla Guerra Nucleare, appena uscito in libreria, c’è una premessa che dice: <<Se le bombe atomiche inizieranno a cadere nessun posto è così davvero sicuro…>> e poi continua dandoti il consiglio di studiare il libro sulle tecniche di rifugio… ma ora sto meditando di risparmiare i soldi e la figuraccia, anche perché, va bene, io ordino il libro e se poi la bomba scoppia prima che arrivi…

Senza dubbio questi attuali tipetti egotici megalomani come Putin, Biden, Xi Jinping, Kim Jong-un, ecc…, materialisti senz’anima, si sentono provetti artisti, aderenti al Futurismo, forse esaltati da quegli eccitanti e mortiferi scritti di Filippo Tommaso Marinetti per il suo Manifesto del 1909 <<…la guerra come sola igiene del mondo>>.

A metà del Novecento, dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, viene decretata la fine della Seconda Guerra Mondiale… ora siamo a Milano nel 1951 e precisamente alla Galleria San Fedele, qui espongono Enrico Baj (1924-2003) e Sergio Dangelo (1932-2022) stanno fondando il movimento artistico della Pittura Nucleare.

Dal loro manifesto del 1952 alla Galleria Apollo di Bruxelles dichiarano: <<Le forme si disintegrano: le nuove forme sono quelle dell’universo atomico. Le forze sono cariche elettriche. La bellezza ideale non appartiene più ad una casta di stupidi eroi nè ai robot. Ma coincide con la rappresentazione dell’uomo nucleare e del suo spazio>>.

Nella mostra nuclearista del 1954 ad Albissola Marina, si avrà l’adesione di altri artisti come Karel Appel, Emilio Scanavino, Lucio Fontana, Sebastián Matta, e a Londra alla Gallery One nel 1959 ci sono in mostra già quindici pittori, a questi si avvicineranno i colleghi milanesi tra cui Piero Manzoni, Gianni Dova e nel tempo l’amicizia di altri protagonisti, i napoletani come Lucio Del Pezzo e gli europei da Arman a Yves Klein, Antonio Saura e Asger Jorn; descrivono il loro modus operandi basato sull’automatismo psichico di André Breton, contro lo stile e le accademie e spingendo gli artisti a <<non essere tappezzieri, ma pittori>>.

Questi esimi artisti, attestati già nell’informale e nell’espressionismo astratto, fortemente impressionati dall’inizio dell’Era Atomica con animi travagliati dalla scampata ecatombe, disintegreranno i segni e lacereranno le materie rendendo acidi e complessati i colori nelle loro opere, cercando un “oblio esistenziale” nell’oasi dell’Arte Contemporanea.

Fin dagli anni Sessanta, con ancora una venatura di New Dada, Baj con le sue opere sui “Generali”, fatti di vecchie passamanerie, bottoni coloratissimi, buffe medaglie di latta e vari bersagli… diventò modello di protesta e di lotta politica contro le dittature prima in Grecia e poi in Cile, rappresentando i Generali come dei veri tappezzieri naif.

Nonostante l’ironia l’arte non può diventare arma sociale, anzi la singolarità dell’arte è che è proprio “antisociale”, essa vuol parlare e commuovere solo alla singolarità dell’anima di ciascun individuo.

L’arte è un esercizio spirituale e filosofico, simbolico e metaforico basato sul dono della Grazia, una poetica dolce per trasformare l’umanità e le sue visioni del mondo, per un cambiamento radicale dei propri comportamenti, rifiutando spesso i suoi costumi e le sue convenzioni morali banali, commerciali e guerrafondaie, per scoprire il meglio, l’altrove e l’altro da sé.

I Nuclearisti avevano un sogno lucido in base ad un logos supremo, <<soffiare sul fuoco della libertà immaginifica>> un avvicinarsi all’intelligibile, un ricercare la perfezione estatica, etica, estetica, erotica.

Negli anni novanta ho avuto la fortuna di conoscere questi due protagonisti dell’Arte Nucleare: con Enrico Baj siamo diventati amici perché avevamo le stesse Gallerie, quella di Giorgio Marconi a Milano e la Galleria Menhir di Alberto Rolla a La Spezia.

Baj, artista frenetico, dionisiaco e Patafisico; insieme abbiamo fatto dei quadri a “quattro mani” che poi sono stati esposti in mostre internazionali: sia da Marisa del Re Gallery a N.Y. e sia a Nizza alla Galerie Antonio Sapone.

Ho incontrato Sergio Dangelo, artista amabile, melanconico e professorale, quando facevo ceramiche ad Albissola Marina al Circolo Culturale Bludiprussia; questi due eroi della Pittura Nucleare avevano una carica emotiva culturale con un proprio sprint eccezionale; una vecchia generazione di attivisti poetici che erano sempre lì, “sul pezzo” a proporti possibili mostre e a raccontarti avventure epocali “surreali”, tra bicchierate di buon vino bianco e grigliate di pesce.

In Italia l’Arte Nucleare ci voleva rendere frizzanti, liberi e creativi fin dentro nei nostri atomi, viceversa nelle culture protestanti anglosassoni e americane o ortodosse molto spesso la creatività dell’Arte Contemporanea passava prima attraverso una distruzione apodittica di quegli atomi… senza speranza di sopravvivenza!

Ma si può sopravvivere ad un uso politico dell’arte? La risposta si trova proprio in una documentazione di Enrico Baj, nel suo libro “Ecologia dell’Arte” Ed. Feltrinelli, sul concetto “arte autodistruttiva e distruzione all’interno della società”.

Può una progettualità estetica basarsi sull’esaltazione della violenza? Sulla distruzione dei segni e la morte dei sensi e della carne? Si vedano esempi quali la macelleria orgiastica di Hermann Nitsch (The Orgies Mysteries Theatre)ola sua Blood Picture, fino alle performances di Yoko Ono e di Marina Abramović: l’una si fece strappare i vestiti di dosso a N.Y. e l’altra si fece torturare nel semi-buio di una galleria napoletana.

Fino all’apoteosi della crudeltà con l’artista austriaco Rudolf Schwarzkogler dell’Azionismo Viennese che si fece fotografare per il suo evento di castrazione; esiste anche un manifesto dell’arte distruttiva del 1959 a Londra DIAS (Destruction In Art Symposium) che imponeva alla “bellezza” l’obbligo, soprattutto, della distruzione, per ottenere la creazione.

Di questo decadente, aberrante estetismo post-umano novecentesco, sado-masochista, necrofilo, stercorario, proprio di una borghesia strafatta, abbiamo una prova sociologica quando, dopo l’undici settembre del 2001, in merito alla distruzione delle torri gemelle di New York, qualche critico d’arte e alcuni artisti internazionali, inqualificabili, parlarono di questa catastrofe terroristica, come di un favoloso gesto estetico… forse memori del Secondo Manifesto della rivoluzione Surrealista del 1930, nel quale Breton istigava gli artisti con questi scritti: <<L’azione surrealista più semplice consiste, rivoltella in pugno, nell’uscire in strada e sparare a caso finché si può, tra la folla…>>!